venerdì 26 febbraio 2016

Ricordi sparsi di una Milano passata

La ringhiera (foto Fiammetta)
La storia, il passato, sono fatti di grandi episodi, di avvenimenti di cui si parla sempre e che ormai quasi tutti conoscono.

Ma anche di situazioni vissute dalle singole persone, da semplici ricordi, da piccole questioni di vicinato, da immagini che sono rimaste impresse chissà perché nella mente.

Abbiamo raccolto alcuni racconti della signora Maria, una nostra simpatica e arzilla vicina di casa, e li riportiamo così come sono, senza la pretesa di farne racconti letterari.

Sono semplici flash, a volte personali a volte più di carattere "generale" che, messi uno accanto all'altro, possono forse aiutare a raccontare la nostra città, Milano, da un altro punto di vista, quello di chi ci ha abitato con naturalezza e senza sensazionalismi.

 

L'incidente in corso Lodi

Io ero cassiera di una macelleria e dopo la guerra ci siamo spostati in centro, in via Pontevetro, dove ho lavorato per 25 anni, fino a quando sono andata in pensione. Il papà dell'assicuratore del nostro principale è andato una mattina in banca ed era la Banca di piazza Fontana ed è morto. Il padre del mio principale doveva andare anche lui, dovevano incontrarsi, ma dopo non so che cosa è successo e ha deciso di andarci nel pomeriggio. Se andava la mattina restava dentro anche lui.

Quel momento lì, un mese prima, al 17 di novembre mia mamma era stata portata all'ospedale Policlinico perché aveva avuto un incidente, era stata investita in corso Lodi e ha fatto quattro mesi immobile all'ospedale con rotto femore, bacino, un braccio. Lì c'erano i pullman che passavano per andare a Melegnano e lei e mio padre ne hanno superato uno che era parcheggiato per attraversare la strada: è venuto uno con la macchina da Porta Romana a piena velocità, che poi stava scappando, l'ha fermato uno che quasi viene investito anche lui. I miei genitori hanno preso la multa perché non erano sulle strisce, mi ricordo che mio padre ha pagato subito la sua: 500 lire. Quella di mia madre pensavano fosse stata eliminata perché era stata ferita, invece è arrivata qualche mese dopo a casa: 800 lire, eravamo disperati!

Pensi che quello che li ha investiti ha scritto una lettera a mia madre accusandola di avergli rovinato la macchina e di avergli fatto venire un infarto... Allora io sono andata da una delle tre sorelle che abitavano di fianco a noi, che una di loro aveva il fidanzato che lavorava nelle assicurazioni. Avevamo confidenza con loro, mia madre le svegliava alla mattina picchiando sul muro perché una di loro si doveva svegliare sempre presto, alle 6. Poi loro ripicchiavano per dire che si erano svegliate. Avevano la macchina da cucire e mia madre che cuciva a mano – perché noi la macchina non ce l'avevamo – andava a casa loro a cucire, le avevano dato la chiave perché potesse farlo anche quando non c'erano.

Un giorno racconto alle tre sorelle che cosa era successo e della lettera ricevuta dalla mia mamma. Lì c'era il fidanzato di quella più giovane, l'assicuratore, che disse «Adesso ci penso io!». Ha preso il numero di telefono dell'investitore, gli ha telefonato e gli ha detto di tutto: «Come fa una donna di 60 anni che peserà 40 chili a rovinare una macchina? È lei che andava troppo veloce! È lei che ha rovinato la persona, non il contrario! Se andava piano l'infarto non le veniva!».

Insomma mia madre ha fatto 4 mesi di ospedale. Tra l'altro, guarda la sfortuna: sciopero dei medici, sciopero degli infermieri, sciopero degli anestesisti... insomma, i primi dodici giorni ha dovuto stare lì senza che le facessero niente.

I camion dei soldati

In quegli anni si faceva sempre sciopero. Mi ricordo che quando lavoravo c'erano a volte due giorni di sciopero dei mezzi. Facevo quattro volte la strada, tutto a piedi. Poi c'era un periodo che mettevano i camion dei soldati al posto dei mezzi, ma c'era un traffico... bisognava salire con una scaletta, per fortuna che ero giovane, oggi farei fatica a salire.

Qui dove c'era la nostra casa...

A volte mi vengono in mente le cose che mi raccontava mio padre, quando ero piccola e anche dopo. Qui dove c'è la nostra casa e dove c'è la chiesa, ad esempio, c'era un cimitero, una volta. Io a un certo punto lavoravo nella macelleria lì all'angolo e quando avevano fatto dei lavori avevano trovato un femore. Allora avevano bloccato tutti i lavori per una decina di giorni.
Nella via Giulio Romano c'era uno stabilimento che si chiamava Comi, che prendeva tutta via San Rocco, poi via Agnesi, Giulio Romano, fino a qui. C'era anche un fosso dove passava l'acqua che veniva dalla parte di viale Sabotino. Lì in fondo a via Altaguardia dove c'è adesso un tabaccaio c'era la fermata della circonvallazione e c'era un casetta bassa e sotto passava un fosso. C'era anche la pesa pubblica.

I cavalli vecchi e feriti di San Siro

Mi ricordo che dalla Giulio Romano passavano i cavalli che venivano da San Siro che erano feriti o vecchi che li portavano al macello, passavano da Giulio Romano e le donne raccoglievano i loro escrementi con il secchio per concimare  i fiori.

La fabbrica rossa di via Altaguardia, che oggi hanno abbattuto per costruire un nuovo palazzo, c'è sempre stata. C'erano anche negozi, al piano terra. Più avanti, nella via, c'era il deposito degli spazzini del Comune e c'erano le case popolari. Adesso han costruito un nuovo palazzo ma al piano terra hanno tenuto tutte quelle porticine, che una volta erano le porte che andavano su al primo piano.

La nostra casa ha 110 anni, era tutta di uno stesso proprietario. Le scuole di Giulio Romano sono sempre state così. Io ho fatto le elementari lì in prima (sono nata nel 1935).

La ringhiera

Quando eravamo giovani la ringhiera era molto vissuta. Le donne e le ragazze si appoggiavano alla ringhiera, con le spalle verso il cortile interno e si faceva la maglia, chi cuciva. Noi bambine sotto la finestra giocavamo alle bambole o altro, anche il maschio figlio della camiciaia giocava con noi, tutti assieme. Con il gesso disegnavamo il mondo oppure la casetta, la camera. Con la merenda che ci davano i genitori, ci siedevamo nella "cucina": «Oggi cosa mangiamo?» «Io oggi non c'ho voglia» «Io mangio il cioccolato» e allora si faceva un pezzettino per ciascuno e si giocava per esempio alla bottega, si vendeva e si faceva finta di andare a fare la spesa «Mi dà una michetta?».


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