domenica 27 dicembre 2015

Quando De Corato era vice sindaco e ce l'aveva coi caloriferi troppo caldi

Riccardo De Corato
Era il 2008. A Palazzo Marino c'era Letizia Moratti.

Stavo partecipando al lancio di un nuovo giornale, un quindicinale delle zone di Milano, e dalla sede centrale ci era arrivata l'indicazione di intervistare, per il primo numero, il vice sindaco milanese Riccardo De Corato.

L'intervista era stata affidata a me, ci ero andato con la caporedattrice centrale del giornale, che lavorava in un'altra città del Nord Italia ed era venuta a Milano per l'occasione.

De Corato ci aveva accolti nel suo grande ufficio di Palazzo Marino: uno stanzone dall'alto soffitto affrescato che aveva quasi nel mezzo la sua scrivania. Era inverno e, come accade anche in questi giorni, l'argomento sulla bocca di tutti era l'alto livello di polveri sottili nell'aria, in poche parole l'inquinamento che stringeva (proprio come stringe oggi) nella sua morsa la città.

«È colpa del riscaldamento»

De Corato aveva detto le stesse cose che ha ribadito oggi – insiema al suo compagno di coalizione, il leader della Lega Nord Matteo Salvini – a commento della chiusura totale del traffico per tre giorni decisa dalla giunta Pisapia: «Le automobili non c'entrano niente con lo smog, è inutile che la sinistra continui a chiederci interventi sulla circolazione dei mezzi in città».

Il vice sindaco di origini pugliesi aveva le idee precise, come le ha oggi, al proposito: «Il problema inquinamento è creato dal riscaldamento. I milanesi devono rendersi conto che bisogna rinunciare a qualche grado, che non si può morire di caldo nelle case e poi pretendere che in città non ci sia lo smog. Lo devono capire, la soluzione è questa, non quelle che riguardano il blocco del traffico».


Quella finestra aperta

Mi ricordo che mentre prendevo appunti mi ero accorto che nello stesso istante in cui diceva queste parole il suo sguardo era andato, quasi con noncuranza, in direzione della finestra del suo ufficio, uno di quei grandi finestroni tipici dei vecchi palazzi che era aperto, spalancato. E nonostante questo lui era in maniche di camicia, in quel momento, e noi – la caporedattrice e io – sudavamo per il caldo presente nella stanza.

Per questo De Corato si era sentito in dovere di aggiungere, sempre con noncuranza: «Lo dico sempre qui in Comune, che bisognerebbe abbassare i caloriferi, qui fa veramente sempre troppo caldo...».

E poi aveva cambiato discorso, senza manifestare il benché minimo imbarazzo.



Mi hanno (ri)rubato la bicicletta



Non vorrei annoiare gli sparuti lettori di questo blog, dicendo che mi hanno rubato di nuovo la bicicletta.

Lo faccio solo perché questa volta non era una "bici cesso", come l'altra volta, ma era una fiammante due ruote, solida e silenziosa. Mi ci ero affezionato, anche se ce l'avevo solo da tre giorni. Sì, è durata tre giorni prima che se la portassero via dal cortile di casa mia.

Al di là dell'aspetto dei tre giorni, che comunque ha sempre il suo bell'effetto, parlo di questo mio nuovo furto subìto perché qualcuno, da una finestra, ha visto il ladro in azione e ha risposto al mio appello "Qualcuno ha visto qualcosa?".

Ecco il risultato, una "tavola" degna del miglior Buzzati, con identikit del ladro e descrizione della situazione. Non servirà a niente, ma credo si tratti di uno dei primi casi nella storia di identikit autogestito e contestualizzato nella storia dei furti di biciclette!




La didascalia recita:

Via xxxxxxxxxxx 17, 23 dicembre 2015, ore 14.00 circa.
Il ladro esce dal portone con la bici.
Ha una corporatura media e un viso ovale. Dimostra tra i 40 e i 50 anni d'età. 
Indossa un giubbotto corto, un cappello con visiera e uno zainetto sulle spalle. Arrivato all'altezza del civico 15, attraversa la strada e appoggia la bici al palo.
Citofona (o finge di citofonare) al civico 14, poi estrae un cellulare di colore bianco e telefona (o finge di telefonare).

Dopo di che, probabilmente dopo aver girato l'angolo, è sparito con la mia bicicletta, una LERI verde scuro, molto scuro, con freni a bacchetta.


L'augurio che faccio al suddetto ladro, è un classico di Antonio Albanese/Alex Drastico (lì si parla di motorino, ma il principio è lo stesso):




venerdì 11 dicembre 2015

L'insopportabile e inutile intrusione delle martellanti offerte telefoniche


Sono in ufficio, sto lavorando, suona il cellulare.

Il numero che appare sul display non è registrato nella mia rubrica, chissà chi mi chiama. Forse un nuovo cliente?

Rumore di sottofondo, come se il mio interlocutore si trovasse in un palazzetto dello sport, con tanta gente sugli spalti a fare cagnara.

Dopo qualche secondo di sospensione ecco una voce, da lontano: «Buongiorno chiamo per conto di xyzsrtysj xoktyizxytoi, le volevo proporre la nostra ultima promozione...».

«Scusi, scusi, si fermi un attimo. Per chi lavora lei? Non ho capito...».

«La chiamo per conto di yhxtaonilert kuytxvelastr, volevo proporle...».

«No, scusi... vabbè... mi dica almeno come ha fatto ad avere il mio numero di cellulare, chi gliel'ha dato?»

«È perché lei è un cliente xxx (nome della mia compagnia telefonica), giusto? Io chiamo per conto di klixtgyzart fhuztkyxtkt per proporle...»

«No, guardi, scusi, la fermo subito, così non perde tempo lei e non lo perdo nemmeno io. Non ho bisogno di niente, non mi serve niente, grazie lo stesso...»

«Ma guardi, la promozione che le proponiamo...»

«No, scusi, ripeto, grazie, non mi interessa, la vostra promozione...»

«Incredibile! No, davvero incredibile...»

«Incredibile che cosa, scusi?»

«Incredibile che neanche stia a sentire quello che devo dirle e mi dice subito che non le serve niente... io vorrei...»

«No, guardi, di incredibile c'è solo la sua insistenza. Lei mi chiama disturbandomi sul cellulare, mentre sono al lavoro, non capisco nemmeno da parte di chi, le dico che non mi interessa quello che ha da dirmi e lei ha anche la sfrontatezza di dirmi che è incredibile? La saluto...»

«No, ma non esiste che non stia ad ascoltare quello che ho da dirle, signor Luca, io vorrei solo...»

«...allora non capisce, non voglio essere disturbato, non mi interessa quello che ha da dirmi. Mi ha chiamato lei, non l'ho cercata io. Grazie e buongiorno»

«Ma io volevo dire che...»

Click


Una scena che si ripete più volte al giorno 

Questa scena, più o meno così, si ripete due, tre, spesso anche quattro volte al giorno. Al cellulare o al telefono fisso. In ufficio e a casa.

Niente contro questi poveri ragazzi (spesso stranieri) dei call center che, di certo sottopagati, sono costretti a sorbirsi gli insulti e le rimostranze delle persone che sono obbligati a disturbare a qualsiasi ora della giornata.

Nessuna pietà, invece, per le compagnie telefoniche che programmano a tavolino questa tortura, senza dimostrare un benché minimo rispetto per chi sta dall'altra parte del telefono.

Se ne renderanno conto, prima o poi?



martedì 17 novembre 2015

Che disastro la newsletter "Ore 12"
del Corriere della Sera!


"Tocca agli azzurri", ma l'Italia aveva giocato il giorno prima...
L'ho già detto da qualche altra parte, in questo blog: il Corriere della sera è il mio quotidiano di riferimento.

Lo è diventato da quando Montanelli se n'è andato dal suo Giornale (prima leggevo per lo più solo quello), una volta esaurita l'esperienza per me esaltante – come lettore – della Voce.

Penso che il Corsera sia, in generale, un giornale serio, autorevole, non schierato. E anche milanese il che, se anche non aggiunge nulla, male non fa.

Per questo non sono disposto a subire pressapochismi che provengano dalle sue pagine, cartacee o elettroniche che siano. Non sono dunque disposto, per essere più preciso, a ricevere una newsletter giornaliera infarcita di errori grossolani, come nemmeno se ne trovano nel sito della più piccola e meno organizzata testata locale.

La newsletter delle ore 12

Per seguire le notizie pubblicate sul sito – io il giornale lo leggo ormai quasi esclusivamente online – mi sono iscritto alla newsletter del Corriere della Sera, quella che arriva (quasi) puntualmente ogni giorno, alle ore 12, per "lanciare" le ultime notizie.

Questa newsletter è un vero disastro. Le notizie riportate sono spesso vecchie di almeno uno-due giorni, non sono aggiornate, hanno titoli che non corrispondono ai link, a vole il titolo addirittura non c'è, c'è solo un suggerimento che nessuno ha trasformato in titolo. Le immagini a volte non coincidono con l'articolo cui si dovrebbero riferire e tante altre volte, troppe, addirittura non ci sono, al loro posto compare una finestra azzurra con una grande "C" al centro.

Alcuni esempi di newsletter con errori

Difficile spiegare come possa accadere qualcosa del genere, difficile pensare che un giornale come il Corriere della Sera possa affidare la propria immagine a uno strumento di così scarsa qualità.

Prendiamo ad esempio le ultime tre newsletter arrivate nella mia casella di posta.
Sono quelle del 15, 16 e 17 novembre. Tre giorni drammatici, che fanno seguito a uno dei momenti più tragici della storia moderna dell'Europa, quello contrassegnato dagli attentati e della carneficina perpretata dai terroristi dell'Isis a Parigi, la sera di venerdì 13 novembre.

Domenica 15 novembre 2015

Alle 12.10 mi è arrivata questa newsletter:


Come si nota la foto d'apertura manca e il titolo è abbastanza generico, oltre che sbagliato.
Anzitutto il numero delle sparatorie, non certo solo tre. Già venerdì notte si sapeva che i terroristi avevano colpito portando morte e terrore in almeno sette punti della città.

"Diversi morti" non è un granché come informazione, i numeri degli assassinati dai terroristi  domenica mattina cominciavano a essere quasi certi e "almeno sette feriti" è un errore madornale. Magari fossero solo sette i feriti, fin da sabato si parlava di almeno un paio di centinaia di persone coinvolte, con più di 90 feriti gravi o molto gravi.

Anche la notizia di spalla è vecchia: purtroppo la conferma della morte della povera ricercatrice italiana che viveva a Parigi, Valeria Solesin, era già arrivata nel pomeriggio di sabato.

Vabbè, dici, è domenica, può darsi lavorassero a ranghi ridotti, può capitare che una volta l'attenzione non sia al cento per cento...

Lunedì 16 novembre 2015

Alle ore 12.11 mi è arrivata questa newsletter:


Proprio così: nessuno nella redazione della newsletter del Corriere della Sera, il quotidiano più venduto in Italia, si è accorto, prima di spedirla, che non è stato cambiato né il titolo né l'immagine dell'articolo di apertura. Se dunque il titolo era vecchio e sbagliato già la domenica, figuriamoci il lunedì...

Può darsi che il lunedì mattina l'attenzione sia minore rispetto al resto della settimana, complice il fine settimana appena concluso. Un errore può scappare, ci mancherebbe.

Ma le sorprese non sono finite.

Martedì 17 novembre 2015

Oggi, alle ore 12.12, mi è arrivata questa newsletter:


Che disastro! Terzo giorno con la stessa apertura, vecchia, sbagliata e senza foto. E nessuno che si sia accorto nemmeno in questo caso dell'errore. Ma com'è possibile, viene da chiedersi, che venga spedita una schifezza del genere? Dal Corriere della Sera, mica dalla gazzetta del quartierino (nome che mi sono inventato, non vorrei offendere nessuno).

Abbiamo segnalato più volte la cosa a responsabili e ai giornalisti più autorevoli del quotidiano, attraverso Twitter, senza mai averne risposta o, almeno, un riscontro fattivo (lo dimostra la terza apertura sbagliata consecutiva, noi avevamo già segnalato l'errore del secondo giorno a un vicedirettore del giornale).

Forse sono contenti così, o forse non gli importa un granché di questa newsletter, anche se noi pensiamo che l'immagine del Corsera, in questo modo, non abbia molto da guadagnarci.

E intanto aspettiamo con curiosità la newsletter di domani...

Mercoledì 18 novembre 2015


Alle 12.12 mi è arrivata questa newsletter:


Una buona notizia, dal punto di vista giornalistico: il titolo è finalmente cambiato ed è abbastanza aggiornato rispetto ai fatti accaduti nella mattinata, a partire dalle 4.30 di notte, a Saint-Denis.  

La cattiva notizia, invece, è che anche oggi manca l'immagine d'apertura. Ma almeno un piccolo passo è stato fatto, rispetto ai giorni scorsi.

Giovedì 19 novembre 2015

Alle 12.11 mi è arrivata questa newsletter:


Evviva! La newsletter del Corriere della Sera oggi ha finalmente tutto a posto: titoli, immagini e link.

Allora si può fare...

Venerdì 20 novembre 2015

Alle 16.11 (!), mi è arrivata questa newsletter


Un passo indietro. A parte l'orario di arrivo – a pomeriggio inoltrato – e riscomparsa l'immagine d'apertura.

Per bilanciare a questa mancanza, sembra giusto sottolineare la qualità dell'articolo d'apertura sull'attacco terroristico in Mali, a firma Valentina Santarpia e redazione online. Una cronaca chiara e completa, che spiega quello che è accaduto senza sensazionalismi e senza dare niente per scontato. Complimenti!

Martedì 8 dicembre 2015

Alle 12.10 mi è arrivata questa newsletter:



Una data storica, oggi si inaugura il Giubileo, avvenimento che mette Roma e l'Italia in primo piano, in tutto il mondo. E la newsletter del Corriere che fa? Si scorda l'immagine d'apertura...

E la notizia in alto a destra? Alla Scala "arriva Renzi" già, peccato che oggi sia l'8 dicembre, la Prima della Scala è stata ieri sera, Renzi oltre a essere arrivato se n'è anche già andato.

Martedì 15 dicembre 2015

Alle 12.12 mi è arrivata questa newsletter:


Variazione del tema. Questa volta la notizia d'apertura è a posto (anche se l'immagine non è fantastica, diciamocelo, ma vabbè). Ma questa volta il problema è sulla spalla: due finestre vuote, senza titolo e senza immagine... se clicchi sulle finestre blu con la "C" al centro vai alle notizie questo sì, ma forse un piccolo sforzo in più non avrebbe guastato.

Domenica 14 febbraio 2016

Alle 12 in punto (complimenti!) mi è arrivata questa newsletter:



I giornali di sabato 13 febbraio presentavano questo dubbio: "Questa sera, cari lettori, che cosa seguirete? La finale del Festival di Sanremo o la partitissima di calcio Juve-Napoli?".
Un grande dubbio per molti, ma non per il Corriere della Sera.
Nella newsletter del giorno dopo, infatti, è come se la sera prima niente fosse accaduto.

Nel titolo principale si parla di "sabato italiano", sì, ma non per farne la cronaca. Sanremo? Va verso la finale (!) e qualcuno si è dimenticato pure l'immagine relativa. E la sfida scudetto del campionato di calcio? Deve ancora essere giocata...

Pensare che dall'inizio dell'anno il Corriere ha fatto il grande passo, decidendo di far pagare la lettura online delle sue notizie (dopo un certo numero di click gratuiti)...

mercoledì 11 novembre 2015

Ma mi... cantata da Ornella Vanoni, la mia prima vera canzone milanese


Negli Anni '70 la Fiat 132 grigio topo di mio padre aveva l'autoradio ma non il mangiacassette.

Nelle nostre gite domenicali, o quando andavamo in vacanza, portavamo dunque il nostro radiolone Grundig C6000 Automatic, che tenevamo sul sedile posteriore o, meglio, sulle gambe di quello che era seduto in mezzo, perché mia madre non ne voleva sapere di tenerlo lei e avere la musica così vicina alla orecchie. Noi, le mie sorelle e io, di questo fatto eravamo ovviamente contenti, sentivamo meglio.

Tra le musicassette dei miei genitori – perché noi ancora non avevamo la facoltà di scegliere la musica da ascoltare in famiglia (se penso che quest'estate in auto ho ascoltato quasi solo Fedez, J-ax, Maroon 5 e Katy Perry...) – c'era una raccolta di canzoni di Ornella Vanoni.

Tra le nostre preferite c'era "Ma mi..." – canzone scritta nel 1962 da Giorgio Strehler (testo) e Fiorenzo Carpi (musica) – che ai tempi ascoltavamo a ripetizione e cantavamo a squarciagola pur senza capirne il senso.

Quell'italiano strampalato che ci faceva ridere...

Ci piaceva davvero tanto questa canzone. Forse per la bella voce della Vanoni, forse perché era in dialetto milanese – quello che mio padre usava sempre e solo quando parlava con il nonno –, forse perché parlava di San Vittore che ci avevano spiegato essere una prigione o, forse ancora, perché c'era una parte in un italiano un po' strampalato (quello parlato da un commissario meridionale) che ci faceva ridere.

In quegli anni ci piaceva solo per per tutte queste cose, questa canzone. Solo più tardi, crescendo, ne avremmo compreso anche il senso, il valore di grande inno alla resistenza e alla libertà. E pure l'italiano strampalato, a capirne le frasi, avrebbe assunto una valenza ben diversa.

Tra le strofe della canzone, oltre al famoso ritornello "Ma mi, ma mi, ma mi, quaranta dì quaranta nott, a San Vittur a ciapàa i bott...", ce n'è una che richiama più di altre la città di Milano. I nazisti – è di questo che si parla – hanno chiuso il protagonista della canzone in una cella di San Vittore (ratera = trappola per topi) e lui da lì sente in lontananza il rumore della sua città:

Sont saraa su in 'sta ratera
piena de nebbia, de frecc e de scur,
sotta a 'sti mur passen i tramm,
frecass e vita del me Milan...

Ecco, "Ma mi..." è la prima canzone che mi ha parlato di Milano. Una canzone triste ma orgogliosa, che si conclude con un perentorio "Mi parli no!" e che è entrata non per caso a far parte del repertorio di tutti i principali cantori di Milano, da Enzo Jannacci a Nanni Svampa.





Vai ad altri post in cui si parla di canzoni dedicate a Milano:


lunedì 12 ottobre 2015

La palestra di via Iseo, così Milano reagisce alla violenza delle mafie

La palestra Ripamonti di via Iseo, ad Affori
Palestra Ripamonti di via Iseo, Affori, ore 9 di domenica 11 ottobre 2015.

Varchiamo la soglia di questo impianto sportivo come fosse niente, ma già il fatto che oggi io e mio figlio si possa essere qui – lui deve giocare a basket in un quadrangolare organizzato per l'occasione dalla Pallacanestro Olimpia Milano – è un fatto eccezionale.

Quattro anni fa, qui, al posto di questa bella palestra nuova e fiammante, c'era un cumulo di macerie, dopo che fiamme cattive, di origine dolosa, se l'erano mangiata in poche ore.

Quella della palestra di via Iseo, ad Affori, è una storia brutta che si è trasformata, in questi ultimi mesi, in una storia bella. Nell'ottobre 2011 questo impianto era stato oggetto di un incendio doloso, di origine mafiosa. Qualche mese prima era stato messo sotto sequestro perché si era scoperto che era gestito da una società sportiva controllata dalla 'ndragheta. Un'azione che non era stata gradita da chi vorrebbe controllare la città e che aveva dunque voluto compiere un gesto intimidatorio di grande effetto, compiuto in un sabato pomeriggio, proprio mentre molte famiglie del quartiere stavano frequentando il centro sportivo (che comprende anche un campo da calcio/rugby, campi da tennis e una piscina).

E il risultato era stato ottenuto: la palestra era diventata inagibile e l'intero quartiere aveva perso un punto di riferimento prezioso, soprattutto per i giovani. Le macerie annerite, poi, stavano lì come una minaccia incombente. Le mamme non portavano nemmeno più i bambini nella vicina piscina, per paura di quello che era accaduto e per quello che sarebbe potuto accadere.


Una situazione inacettabile

Una situazione che non poteva essere accettata. Da qui la volontà dell'amministrazione comunale milanese di restituire al più presto l'impianto ai cittadini. Una restituzione che ha visto in ieri, domenica 11 ottobre,  la festa di inizio attività ufficiale della palestra, a quattro anni dall'incendio.

«Davanti alla violenza si dice sempre no e si va avanti tutti insieme», ha detto l'assessore allo Sport del Comune di Milano Chiara Bisconti rivolgendosi ai bambini, ai genitori, ai cittadini di Affori e di Milano.

Giusto, si vince tutti insieme, reagendo alla violenza e ristabilendo la normalità, sempre e comunque.


Combattere la violenza, senza ambiguità

Non so se mio figlio, che ha quasi 11 anni, ha capito l'importanza della sua partecipazione a questo piccolo torneo di basket.

Forse ieri, insieme ai suoi amici, dopo essersi divertito sul campo si è annoiato un po' ai discorsi dei grandi. Ma sono sicuro che un giorno gli tornerà in mente quella mattinata in cui – insieme a suo padre e ai suoi amici del basket – ha partecipato a un evento importante, storico, a un momento/simbolo prezioso per la città in cui è nato e in cui, forse, avrà deciso di vivere la sua vita.

Una città che non ha intenzione di arrendersi, che combatte a testa alta contro la violenza delle mafie senza paura, senza tentennamenti e, soprattutto, senza ambiguità.




mercoledì 9 settembre 2015

Non ci sono più i rom (centri sociali, No Tav, terroni) di una volta

Il miracolo è avvenuto. Finalmente ci siamo liberati dei rom. Non ci sono più i rom, e nemmeno i centri sociali e i No Tav. In un men che non si dica, grazie ai migranti, ai rifugiati, ai clandestini che stanno prendendo d'assalto le nostre coste, abbiamo risolto tre grossi problemi, anzi, forse anche quattro. Perché i terroni dove vogliamo metterli, anche quelli lì sono scomparsi.

I cattivi non sono più i rom, ci avete fatto caso? Nessuna casa più svaligiata dai rom. Nessuna donna più aggredita dai rom, nessun anziano più derubato della pensione dai rom.

E le case occupate? E chi se le ricorda più. E i centri sociali? Boh... Così come quei terroristi dei No Tav che distruggevano i centri delle città, chissà che fine hanno fatto. Saranno finiti tutti a lavorare in banca.

I terroni, quelli no, erano già spariti da tempo, sono anni che non rappresentano più un problema. Oltretutto loro votano, anche, non saremo mica matti di disperdere un patrimonio tale di preferenze, oggi poi che proprio i terroni sono i più colpiti dai movimenti migratori provenienti dal sud del mondo.

I terroni? Le nuove vittime (che votano)

Ecco, i terroni oggi sono diventati vittime, proprio come i polentoni lo erano quando quelli del sud Italia invadevano il nord. Adesso gli invasi sono loro, è su loro che bisogna lavorare, per raccogliere consensi.

È una lotta tra poveri costruita ad arte, una lotta in cui a guadagnarci sono i poveri di prima, quelli che improvvisamente si trovano a risalire uno o più gradini della scala predisposta dalla propaganda incessante di politucoli da strapazzo in cerca di voti facili.

Rom, centri sociali, No Tav, terroni oggi sono un gradino sopra i migranti, che godano di questa nuova posizione, finalmente possono vivere in pace.

La scala che porta al cielo

E i migranti onesti abbiano pazienza: prima o poi arriverà qualcun altro cui verrà assegnato il gradino più basso di questa scala, quello che oggi tocca a loro. In fondo, si tratta solo di aspettare.

Vallo a dire, però, alle migliaia di persone – donne, uomini, bambini, anziani – che muoiono in mare e i cui corpi giungono senza vita sulle nostre spiagge. Per loro l'unica scala esistente, oggi, è quella che porta direttamente al cielo.

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mercoledì 26 agosto 2015

Balotelli è tornato al Milan, viva Balotelli!

Balotelli è tornato al Milan, viva Balotelli.

Sì, viva Balotelli, detto ad alta voce da un milanista, senza alcuna ironia.

Dire questo, oggi, è altamente impopolare, soprattutto tra i tifosi rossoneri. Balotelli non lo vuole nessuno, Balotelli non è un campione, Balotelli è un fannullone, Balotelli è un ragazzo viziato e impertinente.

Balotelli, si dice, è tutte queste cose qui, ma io sono davvero contento che sia tornato al Milan, così come ero arrabbiato quando lo scorso anno era stato venduto.

Perché? Per tanti motivi, che qui cerco di elencare cercando di smontare le accuse che gli vengono via via rivolte.

1. Balotelli non è un campione.  

E allora? Forse che il Milan di oggi sia infarcito di Campioni, quelli veri con la "C" maiuscola? Balotelli non è un leader, questo no, ma se messo in condizione di giocare può dare il suo apporto più di altri. Con un Milan a pezzi non è l'uomo che può prendersi la squadra sulle spalle, con un Milan che gira può dire la sua. E chi dice il contrario vada a vedersi le sue azioni più belle in Nazionale e nei vari club in cui ha giocato (escluso Liverpool, ovviamente... youtube ne è pieno). Dire che Balotelli è calcisticamente una sega non risponde al vero, è una volgare mistificazione della realtà.

2. Balotelli è un ragazzo viziato.  

Che scoperta! Da quando ha la maggiore età guadagna milioni di euro ogni anno, vive al di sopra dell'immaginabile. Osannato e super pagato, è così strano che un ragazzone di oggi – li conoscete i ragazzi di oggi? – abbia difficoltà a mantenere uno stile di vita normale, non caratterizzato da comportamenti sopra le righe? Se preso nella giusta maniera, credo comunque che questo suo modo di fare possa addirittura rappresentare un aspetto positivo per la squadra in cui milita. Che noia quegli spogliatoi dove tutti sono perfettini. Che noia quelle partite in cui ci sono solo soldatini che fanno il loro compitino senza fantasia, senza qualche lampo di sregolatezza...

3. Balotelli è pagato troppo per il suo valore. 

Può essere, ma è colpa sua? Ottiene forse gli ingaggi puntando la pistola alla tempia dei dirigenti dei massimi club europei? Se lo pagano, se l'hanno pagato così fino ad ora, è perché in lui hanno intravisto potenzialità – sia sportive, sia di marketing – enormi. Nessuno regala niente, lo sappiamo noi che ogni giorno ci guadagniamo la pagnotta con fatica, figuriamoci se lo fanno le società calcistiche, gestite da manager e consulenti super sgamati, che non si fanno certo infinocchiare dal primo arrivato.

4. Balotelli è un ignorante.  

Balotelli non è un ignorante, è un ragazzo di oggi – li conoscete i ragazzi di oggi? – che di lavoro fa il calciatore. Al di là del fatto che è certamente più sveglio di quanto lo si voglia far apparire, nessuno può pretendere che un calciatore abbia il cervello di Einstein. Così come nessuno poteva pretendere che Einstein fosse un campione di calcio. Una volta Platini (Platini, che corre per diventare il numero uno del calcio mondiale!) disse: «Anche Einstein, intervistato tutti i giorni farebbe la figura del cretino». Ognuno fa il suo lavoro, l'importante è che lo faccia al massimo delle sue possibilità, il resto sono solo parole.

6. Balotelli spacca gli spogliatoi. 

Non sono d'accordo. Il suo comportamento può forse dare fastidio ai "vecchi", ma il suo carattere aperto può anche rappresentare una forza in più per uno spogliatoio forte. Per uno spogliatoio forte, certo, questa è la base irrinunciabile e forse il nuovo allenatore del Milan è la persona giusta perché questa condizione si verifichi. Senza dimenticare che Mihajlovic conosce Balotelli fin da ragazzo, potrebbe essere, questa, un'arma in più per lui e per il Milan.

5. Balotelli ci ha fatto perdere il Mondiale 2014. 

Questa è l'accusa più pusillanime tra tutte quelle rivolte a questo ragazzo. I baroni della Nazionale, ct e capitano in testa, hanno scaricato su di lui le colpe e le mancanze di una spedizione disastrosa. Balotelli ha giocato secondo le sue possibilità, ha pure segnato uno dei due miseri gol segnati dalla nostra Nazionale. Ha sbagliato gol facili? Può essere, ma qualcuno ha forse mai sostenuto che Del Piero non fosse un campione dopo i gol che si era mangiato nell'Europeo del 2000, nella finale persa contro la Francia? Troppo facile scaricare sul solito Balotelli, questa è stata una vera vergogna sostenuta peraltro dai principali giornali sportivi italiani, sempre a caccia di titoloni e di copie da vendere.

7. Balotelli non è una questione di razzismo, ma è proprio antipatico.  

Quando si premette che "non è una questione di razzismo, ma..." in genere si sta dicendo una cavolata. Può darsi non sia una questione di razzismo, l'acredine con cui molti si scagliano contro Balotelli, ma io credo che il colore della sua pelle sia all'origine della sua popolarità quanto della sua impopolarità. Perché Balotelli incarna e rappresenta l'Italia multiculturale e multirazziale di oggi. Atleti italiani di colore ce ne sono ormai da tanto tempo – soprattutto in atletica, ma anche già nel calcio – ma nessuno di loro è mai stato esposto in modo così clamoroso ai mass media, nessuno è mai stato così tanto sotto i riflettori. Perché Balotelli è un calciatore, certo, ma anche per il suo carattere. Molti italiani non perdonano a Balotelli non tanto di essere famoso e ricco – questo può capitare – ma piuttosto di ostentare senza pudore questa sua ricchezza. Che un "nero", anche se italiano, si permetta di fare quello che vuole, magari anche di comprare le macchine più belle e costose del mondo e di avere pure fidanzate non di colore, questo dà fastidio a molti. Che non lo ammetteranno mai, e quindi sfogheranno la loro stupida rabbia scaricando su Balotelli tutte le colpe immaginabili, in campo e fuori dal campo.

8. Balotelli farà come gli altri campioni di ritorno, che al Milan hanno sempre fallito. 

Vero, le operazioni nostalgia (Sheva, Kaka, ma anche Sacchi e Capello tra gli altri) al Milan non hanno mai dato i frutti sperati. Ma finora i ritorni riguardavano calciatori alla fine della carriera, spremuti e invecchiati. Balotelli è ancora relativamente giovane, c'è gente che è esplosa a età superiori della sua (vedi Toni, per fare un esempio). E poi è in prestito (nessun euro pagato per averlo) e metà dello stipendio lo paga il Liverpool, dal punto di vista economico potrebbe essere un vero affare.


Ecco, ho detto perché sono contento che Balotelli sia tornato al Milan. E spero che ci rimanga a lungo, a suon di gol e di prestazioni da vero campione, magari anche con la "C" maiuscola, alla faccia di chi gli vuole perennemente male (c'è anche gente che cavalca la questione Balotelli per fini elettorali, diffidate gente, diffidate).





lunedì 17 agosto 2015

Il valore di un pranzo

Milano vista dal Duomo
Qualche giorno fa, prima di partire per le ferie, in pausa pranzo sono andato a mangiare nel solito baretto.

Dire "solito" è però forse esagerato. Ci vado volentieri in primavera ed estate, con il caldo, perché ha il dehor posizionato in una delle piazzette più belle di Milano ed è un vero piacere, mangiare lì. Quest'anno sono riuscito ad andarci un po' di volte, mentre la scorsa estate, quella 2014, tra una pioggia e l'altra, era stato davvero difficile restare seduti lì, all'aperto.

Ho mangiato come al solito, ordinando ai soliti simpatici e gentili camerieri. Quando sono andato a pagare alla cassa, quando è stato il mio turno, il proprietario mi ha fatto lo scontrino e mi ha detto quanto gli dovevo. Poi ci ha pensato un attimo e ha detto no, che questa volta non dovevo pagare niente.

Non me l'aspettavo e tra lo stupito e il guardingo in una frazione di secondo mi sono chiesto, tra me e me, perché mi dice questo, quale secondo fine avrà?

Le cose che non hanno una spiegazione

Il proprietario del bar con il bel dehor, anche se sempre molto gentile, tende in genere ad apparire un po' "teso". C'è sempre molto da fare, lì, e probabilmente vuole avere tutto sott'occhio, per cui se qualcosa non funziona a dovere, anche con i clienti, si vede che fatica a tenere a bada i nervi. Anzi, a volte i nervi, a bada, non li tiene proprio.

Questi pensieri mi sono passati in un lampo per la testa, mentre osservavo il sorriso di chi mi stava parlando. Scusi non ho capito, ho detto, perché non vuole che paghi il pranzo? Così, ha risposto lui con noncuranza, perché ogni tanto si possono fare anche queste cose senza spiegazione... lei viene spesso qui e oggi mi va di non farle pagare il pranzo, tutto qui.

Ho biascicato un "grazie, davvero" quasi imbarazzato, ricambiando il sorriso. Poi ho anche aggiunto – che stupido! – che la settimana dopo non mi avrebbe visto, lì nel suo bar, perché stavo partendo per le vacanze (giustificazione non richiesta di una mia assenza che, ho pensato, sarebbe potuta apparire oltraggiosa se associata al bel gesto appena ricevuto).

Ho detto ancora grazie e sono uscito dal bar un po' confuso: un gesto del genere non me lo sarei mai aspettato. Ma mi sono ripreso in fretta e me ne sono tornato in ufficio sentendomi più leggero e pensando che mi piace davvero, ma davvero tanto, vivere in questa città.




venerdì 3 luglio 2015

Ciao Mario, amico barbiere
di via Ripamonti

Mario, il barbiere di via Ripamonti, non c'è più. Nella notte un infarto se l'è portato via, così, all'improvviso.

Mario non era un semplice parrucchiere. Nel suo negozio anni '70  assolveva come si deve al suo compito di "barbiere" anche se non si occupava di barbe, ma solo di capelli. Nel senso che quello spazio ristretto in cui lui tagliava i capelli era un punto di riferimento per molti, nel quartiere. Proprio come lo erano i negozi di barbiere di una volta, quelli affacciati sulle piazze dei paesi di provincia o delle grandi città.

Mario era un personaggio. Era un personaggio. Con la sua folta criniera nera, i baffoni e la parlata che rivelavano la sua origine meridionale, aveva una battuta per tutti, grandi e piccini. I suoi pensieri, a volte ripetuti due o tre volte, erano sempre arguti, precisi.

«Questo Paese ha bisogno di riforme!» mi aveva ripetuto l'ultima volta che sono andato da lui. Ti girava intorno, fissava la testa e poi cominciava a tagliare. Poi si fermava con le forbici in mano e parlava. Riprendeva a tagliare e tornava a fermarsi, per parlare. Di tutto: di politica, di sport, di televisione, di filosofia di vita... Mario sapeva molte cose, le leggeva sui quotidiani (che non mancavano mai, nel suo negozio) e le vedeva tutti i giorni anche grazie al suo lavoro, e amava parlarne fissando il cliente attraverso il grande specchio. E intanto la porta del negozio si apriva in continuazione: gente che passando di lì buttava dentro il naso per fare una battuta o anche semplicemente per salutare.

Aveva deciso di presentarsi alle prossime elezioni di zona, mi aveva detto giusto una settimana fa. «Vorrei fare qualcosa. Anzi qualcosa l'ho già fatta, sono riuscito a far cambiare l'illuminazione di questa via, qua vicino...». Non gliel'ho detto, al momento, ma tornando a casa avevo pensato che, sì, forse avrei anche potuto votarlo.

Sempre l'ultima volta mi aveva raccontato che le maestre della scuola elementare di via Giulio Romano gli avevano chiesto se potevano portare i bambini a vedere il suo negozio, il suo lavoro. Stavano studiando le professioni. Mario aveva accettato di buon grado e il suo piccolo spazio si era riempito di tanti scolaretti curiosi. Lui aveva spiegato che aveva cominciato a lavorare fin da piccolo, andava a bottega, osservava e imparava. A quei tempi, aveva detto, bisognava darsi da fare già a sette/otto anni, per aiutare i genitori. A un certo punto un bambino aveva chiesto: «Ma la tua baby sitter ti accompagnava fino al negozio?». Mario rideva, mentre lo raccontava. Baby sitter... e chi mai sapeva che cos'era?!?

Io l'ho conosciuto in una circostanza particolare, qualche anno fa. Avevo perso documenti, carta di credito, soldi. Mi erano usciti dalla tasca dei pantaloni e neanche me n'ero accorto. Ero in casa e a un certo punto era suonato il citofono. Una voce squillante aveva detto «Sono Mario, il parrucchiere, hanno trovato dei documenti per terra, credo siano suoi...». Ero sceso e questo simpatico signore mi aveva dato documenti, carta di credito e soldi che qualcuno gli aveva portato in negozio, chiedendo se ne conosceva il titolare. Lui non mi conosceva, ma si era preso in carico la faccenda e me li aveva portati a casa. Perché lui era fatto così.



Ora sulla sua saracinesca abbassata qualcuno ha attaccato, tra gli altri, un cartello con scritto "Ciao Mario".

Un saluto semplice, per una persona semplice che ci mancherà. 




"Questo è Mario...": leggi il ricordo di Mario dello scrittore Giuseppe Genna, pubblicato sul suo blog il 5 luglio 2015.



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mercoledì 24 giugno 2015

La nuova piazza Missori strappata alle auto e restituita ai cittadini

L'inaugurazione della nuova piazza Missori
La nuova piazza Missori è dei milanesi.

L'avevamo definita "la piazza più brutta di Milano". Forse avevamo esagerato, ma che piazza Missori avesse bisogno di una sistemazione era sotto gli occhi di tutti.

Più che una piazza era un parcheggio, di auto, furgoni e scooter. Il disordine qui imperava, tra marciapiedi inesistenti, porfido dissestato e binari di tram dismessi che si incrociavano in cerca di un percorso ormai perduto da decenni.

Non veniva voglia di soffermarsi, in quella piazza: l'abitudine era ormai di attraversarla in fretta, stando attenti a non farsi travolgere, perché le auto sbucavano un po' ovunque, dando solo uno sguardo fugace e veloce al monumento al generale Giuseppe Missori.

Il generale assediato (settembre 2011)
Già, il monumento. Ormai non aveva più un suo spazio ed era anche in cattivo stato, con particolari come la spada e le redini divelti, se non del tutto mancanti.

Eccola qui, la nuova piazza Missori

Non ci speravamo, in una sua così veloce sistemazione. E invece eccola qui, la nuova piazza Missori: ordinata, pulita, vivibile, anche un po' verde. Un'altro angolo di Milano – ormai ne abbiamo perso il conto – che torna a splendere. Uno spazio che negli anni era stato posto in assedio dalle "macchine" (di qualsiasi foggia e dimensione) e che oggi, 24 giugno 2015, è stato restituito ai cittadini.

Piazza Missori, prima e dopo
Ci sono voluti alcuni mesi di intenso lavoro, ma alla fine anche questa piazza è stata riconquistata. Con tre buone notizie, tra l'altro, anche dal punto di vista economico.

La prima è che come nel caso di via Marconi – quel tratto della via che si affaccia su piazza Duomo che è stato di recente risistemato – il progetto è stato eseguito direttamente e interamente dagli uffici del Comune di Milano e non ci sono dunque state spese extra per consulenze esterne.

La seconda è che e il materiale utilizzato per la pavimentazione di questa nuova piazza Missori è tutto di "riciclo", proviene cioè dai depositi del Comune.

La terza è che lo spazio verde che fa da cornice alla piazza è stato progettato, predisposto e verrà curato a spese di un'azienda privata, la stessa che già si occupa dello spazio verde posto all'imbocco della vicina via Albricci.

Un progetto fatto in casa, dunque, che rivolge anche un occhio di riguardo al passato di questa piazza: la disposizione dei lastroni del selciato, nel lato adiacente alla carreggiata che proviene da via Mazzini, infatti, evidenzia l'angolo dell'antica Basilica di San Giovanni in Conca, abbattuta e ricostruita più volte nei secoli e scomparsa quasi definitivamente (ne rimangono alcuni resti all'imbocco di via Albricci) tra il 1948 e il 1952.

Piazza Missori, la fotostoria dei lavori di sistemazione

Ecco, qui di seguito una breve fotostoria dei lavori di sistemazione di piazza Missori.

L'imbragatura del monumento a Missori (ott 2014)

La prima fase di rimozione del selciato (ott 2014)

La piazza viene in parte transennata (ott 2014)
Attorno alle transenne la vita cittadina non si interrompe (nov 2014)
I vecchi binari del tram strappati al terreno (feb 2015)
Binari divelti e macchinari all'opera (feb 2015)
La rimozione degli ultimi lastroni di porfido (mar 2015)
Il monumento restaurato e protetto (mar 2015)

Si posa il nuovo selciato (mar 2015)

Ruspa in azione, mentre il cavallo di Missori sbircia... (apr 2015)

La piazza è aperta, qualche motociclista non ha capito bene... (giu 2015)

Missori rimesso a nuovo (giu 2015)
La banda, nel giorno dell'inaugurazione della nuova piazza (24 giugno 2015)
Uno scorcio della nuova piazza Missori (24 giugno 2015)

L'inaugurazione della nuova piazza Missori (24 giugno 2015)
L'atto ufficiale: il taglio del nastro (24 giugno 2015)

Piazza Missori, ce la ricordiamo, com'era prima?

E per chi se lo fosse già dimenticato, piazza Missori fino a pochi mesi fa era così: vai al post di Milanau che denunciava la bruttezza di questo angolo di città posto a pocchi passi dal Duomo.


giovedì 11 giugno 2015

Ode alla (mia) bicicletta rubata

Questa non l'hanno rubata, ma poco ci manca...

Com'era bella la mia bicicletta,
com'era bella, la tenevo stretta,
tutte le volte che io non la usavo
a qualche palo, oh sì, la legavo.

Avevo comprato una bella catena
con cui la cingevo con tanta lena,
e un coprisedile semilanuto
per cui sudavo, quando ero seduto.

Quando con foga io pedalavo,
il mio passaggio a tutti indicavo,
perché il pedale in continuo sfregava
sul carter che, intanto, si consumava.

Più dietro avevo un sedile piccino,
su cui portavo il mio bel bambino 
il cui peso negli anni era tosto aumentato
e il supporto, col tempo, mi aveva stortato.

Il campanello? No, non andava,
mentre il fanale non funzionava,
la ruota dietro era un po' deformata
e il parafango l'avea quasi bucata.

Poi mi accadde una grande sventura
ruppi il lucchetto, la serratura.
Per pochi minuti rimase slegata
il tempo occorrente per esser rubata.

Va bene, lo ammetto, era una bici/cesso
ma proprio per questo l'amavo lo stesso
e spero che quello che se l'è fottuta
si sia fatto, scappando, una bella caduta.




martedì 19 maggio 2015

Il sindaco Pisapia è davvero il migliore amico dei centri sociali?

Occupanti sul tetto (foto dagospia.it)
C'è qualcosa che non torna.

Com'è che se Pisapia, il sindaco di Milano, è amico dei centri sociali – come vanno sostenendo i paladini della destra e i leghisti di Salvini – questi lo attaccano e gli distruggono il centro della città?

Se fossero amici suoi, vien da pensare, andrebbero da un'altra parte a guerreggiare. In una città governata da un nemico. Mica verrebbero qui, la Moratti non c'è più da tempo, Milano è una città governata dalla sinistra (Pisapia non è nemmeno del PD, tanto per dirne una, partito che non si sa se nemmeno sia più di sinistra).

Se fossero amici... ma basta navigare un po' su internet per capire che tra i centri sociali e Pisapia non corre tutto quel buon sangue che si vuol far credere (o, meglio, che qualcuno vuol far credere), perché di centri sociali Pisapia ne ha fatti chiudere più d'uno (anche più di una volta).

Dei centri sociali chiusi non ne parla nessuno...

E' chiaro che queste notizie non vengano enfatizzate né dalla destra né dalla sinistra. Da destra perché non è utile far sapere alla gente che un sindaco di sinistra – la sinistra di Vendola, oltretutto – combatte l'illegalità qualunque sia il suo colore. Da sinistra perché in fondo in fondo il mondo dei centri sociali e simili lì l'hanno frequentato praticamente tutti, più o meno intensamente (chi tra i simpatizzanti della sinistra può dire di non essere mai andato a una mostra, a un concerto o a una festa ospitati da un centro sociale, almeno una volta nella vita?).

I centri sociali sgombrati da quando Pisapia è sindaco

Allora vediamo che cosa abbiamo trovato su internet, in relazione a questo argomento. Scopriamo quali sono state, nel tempo, le azioni contro i centri sociali sostenute dalla giunta presieduta da Pisapia:

  • 15 maggio 2012: sgombero della Torre Galfa. La polizia fa irruzione nella Torre Galfa, di proprietà dell'Immobiliare Lombarda, società che fa capo a Fondiaria SAI di Salvatore Ligresti, e disperde gli occupanti. Il grattacielo – abbandonato dal 2006 e che è posto tra via Galvani e via Fara (Galfa= Gal+Fa), a pochi passi dal Palazzo della Regione – era stato occupato pochi giorni prima dal neocostituito "laboratorio artistico culturale MACAO che si sposta occupando Palazzo Citterio.
  • settembre 2012: sgombero del centro sociale Black Out di via Valvassori Peroni.
  • 23 ottobre 2012: primo sgombero del centro sociale Lambretta che occupava alcune villette Aler abbandonate da 11 anni in piazza Ferravilla, zona viale Romagna.
  • 21 maggio 2013: primo sgombero del centro sociale ZAM  (Zona Autonoma Milanese) di via Olgiati, sistemato in un'ex fabbrica del quartiere Barona. ZAM ospitava, racconta il sito milanoinmovimento.com "tre palcoscenici, due palestre, due sale concerto, due bar, due uffici, una redazione, decine di attività sportive per centinaia di persone, 160 m2 di pareti da arrampicata, un laboratorio teatrale, un laboratorio hip hop, si sono tenuti oltre 200 concerti, più di 100 appuntamenti culturali, un festival di cinema e documentari e, in generale, sono state coinvolte migliaia di persone".
  • 17 marzo 2014: sgombero dell'Officina dei beni comuni, gestita da attivisti con età media tra i 40 e i 50 anni, che occupava uno stabile di proprietà del Comune posto in via Livigno, angolo viale Jenner.
  • 2 aprile 2014: sgombero dell'Ardita pizzeria del popolo, sistemata in una casa di ringhiera abbandonata in via Cola di Rienzo, angolo via Sirte. 
  • 23 luglio 2014: secondo gombero del centro sociale ZAM, questa volta in via Santa Croce, nei pressi del Parco delle Basiliche. Il blitz avviene alle 8 del mattino. Tre occupanti – dei 150 che frequentavano la vecchia struttura scolastica, di proprietà comunale e abbandonata dal 2006, occupata dopo lo sgombero della prima sede dello ZAM, in via Olgiati  – si barricano su un balcone e resistono fino a mezzogiorno, mentre sotto di loro la polizia carica i resistenti procurando loro, dicono le cronache, una ferita alla testa e una costola incrinata. Anche un poliziotto rimane contuso. Gli occupanti dello ZAM organizzano una manifestazione di protesta nei cantieri della Darsena (si stava lavorando per dare a questa zona un nuovo volto) ed espongono uno striscione che recita: «La forza gentile della giunta arancione, tavoli finti e sgomberi a ripetizione". 
  • 26 agosto 2014: secondo sgombero del centro sociale Lambretta. Con un blitz iniziato alle prime luci del mattino, lo sgombero del centro sociale Lambretta in piazza Ferravilla, zona viale Romagna. Cinquanta occupanti vengono allontanati con la forza dalla polizia, tre di loro si rintanano sul tetto e scendono solo dopo alcune ore (vedi foto di apertura). 
  • 29 settembre 2014: sgombero del centro sociale ZAM 4.0 che da due giorni occupava una proprietà dell'ATM tra Porta Lodovica e piazza Tito Lucrezio Caro.
  • 18 novembre 2014: sgomberati due centri sociali al Corvetto. Sono il centro sociale Corvaccio Squat e lo Spazio anarchico occupato Rosa Nera, entrambi in via Ravenna, a poca distanza l'uno dall'altro. Le cronache parlano di scontri tra occupanti e forze dell'ordine, con guerriglia con lancio di pietre e cassonetti incendiati.

Qual è la verità sul rapporto Pisapia/centri sociali?

Non pretendiamo di avere riportato tutti gli sgomberi degli ultimi anni, ma è indubbio che già questo elenco certifichi come il rapporto tra Pisapia e i centri sociali non sia buono fin dal lontano 2012, anno della sua elezione a primo cittadino milanese. Già pochi mesi dopo il suo insediamento il sindaco si becca le contestazioni degli occupanti che vivono in città, come detto chiaramente in questo articolo pubblicato il 3 aprile 2012 sul settimanale ciellino Tempi.

E allora, qual è la verità? Pisapia è amico dei centri sociali o Pisapia è piuttosto accusato dai centri sociali di avere adottato nei loro confronti una politica toppo dura e intransigente, tanto che davanti a Palazzo Marino è stato urlato, più di una volta negli ultimi anni: «Che il vento spazzi via gli sgomberi. Destra o sinistra, chi sgombera è un fascista»?

O forse semplicemente Pisapia, da buon uomo di diritto, ritiene di dover combattere in ogni caso l'illegalità, da qualunque parte essa provenga?

Ai posteri l'ardua sentenza.

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giovedì 30 aprile 2015

Expo Milano 2015, per sei mesi saremo l'ombelico del mondo

L'Albero della Vita, simbolo di Expo Milano 2015
Expo Milano 2015 è finalmente arrivata!

Rullo di tamburi, venghino siòre e siòri, si apra il sipario, ecco a voi l'esposizione universale di Milano in tutto il suo splendore!!!

Tutto il suo splendore... già, forse non è il caso di esagerare, almeno per questi primi giorni. I primi visitatori, quelli che si sono messi in coda davanti all'ingresso di Expo fin dalle 10 del primo giorno, qualche perplessità l'hanno evidenziata: «Volevo visitare il padiglione di... ma è ancora chiuso», «Volevamo vedere questa parte di esposizione, ma ci sono ancora i cantieri aperti...».

Piccole delusioni, ampiamente preannunciate, che però nulla togliono all'evento che metterà, per i prossimi sei mesi, Milano al centro del mondo. In queste ore sembrano infatti avere avuto la meglio gli #expottimisti, quelli che nonostante tutto – le scaramucce politiche dei primi giorni, i ritardi per le acquisizioni dei terreni, le lotte per accaparrarsi le poltrone più ambite, le immancabili mazzette e le collusioni con la malavita organizzata che hanno fatto seguito all'assegnazione degli appalti – hanno sempre sostenuto che alla fine noi italiani ce l'avremmo fatta ad arrivare senza macchia all'appuntamento del 1° maggio 2015.

In un giorno si riesce a visitare solo il 6% di Expo

L'inaugurazione è andata bene, insomma, ora speriamo che tutto il resto sia all'altezza, che ci eviti di andare incontro a una figura barbina – se non addirittura a una brutta figura – di fronte al mondo intero. Perché il dato di fatto è che quella partita è un'Expo se non dimezzata, quasi. C'è chi sostiene – fin da tempi non sospetti – che per vedere l'Expo di Milano completa bisognerà aspettare almeno il mese di settembre. Il che, considerando che la chiusura del "grande circo" è prevista per il 31 ottobre, non è granché consolatorio.

I difensori di Expo rispondono che questo non sarà del resto un grosso problema, perché in ogni caso in una giornata intera è possibile visitare solo il 6% di quanto potenzialmente può essere accolto dal sito espositivo di Rho e dunque sarà inevitabile doverci andare più di una volta: quello che non è ancora visibile oggi lo sarà più avanti. Discorso difficile da fare, buttiamo lì, per chi viene apposta per l'evento da molto lontano. Pensiamo ad esempio alla Cina, Paese che porterà a Milano, si dice, qualcosa come un milione abbondante di visitatori.

In attesa di Expo 2015, Milano si è abbellita

Certo ne è passata di acqua sotto i ponti, e di soldi di tasca in tasca, rispetto a quando si era pensato a Expo Milano 2015 come a un grande orto, in cui ogni Paese del mondo poteva coltivare e presentare i prodotti tipici della sua terra. Come inevitabile, il business, la spettacolarizzazione hanno avuto il sopravvento e forse più di uno resterà sorpreso per l'interpretazione data da alcuni partecipanti al tema dell'Esposizione che resta sempre, se qualcuno se lo fosse dimenticato, "Nutrire il pianeta. Energia per la vita".

A proposito di nutrizione, è forse troppo facile e anche banale dire che qualcuno di sicuro, con Expo Milano 2015, ci ha mangiato e ci mangerà. Piuttosto quello che ci si augura è che per la città di Milano questi sei mesi di esposizione rappresentino una stella cometa che lasci una scia ricca di opportunità guadagnate.

E' un dato di fatto che Milano, in questi ultimi anni, si sia abbellita. E non di poco. Basti pensare agli interventi di Porta Ticinese e dintorni e al recupero della Darsena, a quello che sarà tra pochi giorni piazza Missori (che noi avevamo inserito tra le piazze più imbruttite della città), a piazza De Angeli, a piazza Sant'Ambrogio, ai 15 monumenti cittadini restaurati – compresi quelli di Leonardo da Vinci, Beccaria, Missori, Costantino e San Francesco – alla chiusura degli eterni cantieri che ferivano la città con il loro immobilismo, frutto di un'incapacità o di una non volontà di risolvere problemi e disagi pregressi come, ad esempio, quelli procurati dallo scellerato piano parcheggi interrati voluto e sostenuto dalle amministrazioni precedenti a quelle del sindaco Pisapia.

Una città che negli ultimi mesi è diventata anche più comoda e sicura da percorrere grazie, tra le altre cose, all'istituzione di Area C, ai tratti di metropolitana di recente inaugurati e a quelli che seguiranno, ai limiti massimi di velocità di 30 all'ora stabilite per molte vie della città.

Il padiglione Italia, cuore pulsante di Expo

E per finire, il nostro ultimo confronto tra l'Exposition Universelle de Paris del 1900 ed Expo Milano 2015. Questa volta uno di fianco all'altro mettiamo i due padiglioni dell'Italia.

Il padiglione dell'Italia a Paris 1900
Quello di Parigi, con le sue cesellature di marmo, cupole, trifore e bifore era ispirato chiaramente alla Basilica di San Marco di Venezia. Il padiglione, come tutti i suoi simili degli altri Paesi presenti a Parigi (vedi su Milanau com'era quello degli Stati Uniti d'America, quello della Germania e quelli di Austria, Ungheria, Gran Bretagna e Russia) era posto sulla Rue des nations, affacciata sulla Senna, e alla fine della manifestazione è stato abbattuto e di esso oggi non c'è dunque più alcuna traccia.


Il padiglione Italia di Expo Milano 2015
Il bianco palazzo del Padiglione Italia di Expo 2015 Milano, dalla facciata irregolare e traforata, è posto nello spazio centrale dello spazio espositivo, di fianco all'albero della vita, ed è stato pensato per essere il punto di incontro tra aziende e giovani talenti, crocevia di stimoli e progetti per il futuro del "Made in Italy".

Anch'esso non è del tutto terminato (come del resto quello della Regione Lombardia!) ma lo sarà presto, dicono gli organizzatori: decine e decine di operai lavorano giorno e notte perché questo accada veramente nel minor tempo possibile.








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