martedì 4 giugno 2013

La strada della carità

La strada della carità è quella che percorro ogni mattina, quando vado al lavoro. Ho la fortuna di andare in ufficio a piedi, senza dover prendere né auto, né mezzi pubblici. Metà della strada la percorro insieme ai miei bambini, che porto a scuola, la seconda da solo. Un totale di circa due chilometri, forse qualcosa meno, caratterizzato da incontri che sono sempre gli stessi, ogni mattina. Incontri con persone che stazionano sempre negli stessi posti e che a vario titolo chiedono qualche spicciolo per poter vivere.

La prima persona che incontriamo è una donna di origine slava e di età apparente sui 40/45 anni che staziona davanti al supermercato ed è abbastanza insistente. Ormai ci conosce, quando ci vede arrivare attraversa la strada e viene sul marciapiede che percorriamo in tutta fretta, per non arrivare tardi a scuola. In genere racconta, nel suo stentato italiano, che lei è molto malata, così come i suoi bambini, che non possono andare a scuola perché devono curarsi. Una volta le abbiamo dato un sacchetto con un po' di vestiti, per i suoi bambini. Sembrava felice, da quella volta però è diventata ancor più insistente e così a volte, spiace dirlo, decidiamo di cambiare strada per non dover sottostare ai suoi "attacchi".

Poco più avanti incontriamo Vittoria, che forse viene dal Kosovo, di cui ho già parlato in un post di Milanau. Lei, così minuta, sembra instancabile. Con la sua grinta che la fa apparire anche fin troppo aggressiva, non si perde un'auto tra tutte quelle che si fermano al semaforo della circonvallazione posta a ridosso delle mura spagnole. Con noi è sempre gentile, e anche quando si arrabbia con gli automobilisti poco generosi con lei, e si mette a gridare frasi incomprensibili (che però non fatichiamo a interpretare), se ci vede saluta i bambini con il suo sorriso senza denti.

All'imbocco dei giardinetti posti proprio a fianco della scuola, a volte si posiziona un uomo sudamericano che chiede con grande dignità qualche soldo per la sua famiglia. Una volta abbiamo visto anche la moglie con il figlioletto: la famiglia ce l'ha davvero. Ma è da un po' di tempo che non si vedono più, forse hanno scelto un posto migliore, lì le persone vanno sempre di fretta, nel timore che suoni la campanella, e non hanno nemmeno il tempo di cercare qualche monetina.

Pochi metri dopo avere "depositato" i bambini, ecco la ragazza zingara seduta che ripete una litanìa infinita, modificando il soggetto a seconda di chi stia passando: «Per favore, belo signore...», «Per favore bela signora...», «Per favore, belo signore...». Lei è lì, seduta per terra, anche quando piove, naturalmente senza ombrello e non sembra riscuotere gran successo, la gente le passa davanti senza nemmeno mostrare di accorgersi della sua presenza.

Girato l'angolo, ecco il suonatore di fisarmonica. Sembra un hidalgo spagnolo, con i capelli neri e lisci e i baffetti sottili e curati. Invece forse è argentino, come lascerebbero intendere i suoi pezzi musicali, fatti di intensi e malinconici tanghi. Lui si siede spalle al muro e suona. Suona bene, e saluta con un sorriso chi passa e lo degna di uno sguardo. La sua musica è piacevole, si diffonde in tutta la zona pedonale da cui si fa ospitare, e forse lui è uno dei pochi che riesce a guadagnarsi da vivere, in questo tratto di strada.

Poco avanti c'è una chiesa, davanti al portone si alternano un uomo e una donna, entrambi slavi. Mi immagino che siano marito e moglie, o comunque compagni, che si dividono il compito. Una mattina uno e quella dopo l'altra. Anche loro sembrano faticare a raccogliere quattro spiccioli e per questo si spostano in continuazione per cercare di intercettare i passanti, che sono per lo più impiegati e professionisti che si dirigono verso gli uffici del centro o studenti che si recano nella vicina Università.

Ormai ho percorso più della metà del mio percorso. Ed è qui che incontro l'uomo africano con il suo "negozietto" ambulante. Vende un po' di tutto, dagli occhiali, alle borse, agli ombrelli. Forse quest'anno quattro soldi, con tutta l'acqua che è scesa, sarà riuscito a farli. Lui non ti chiede niente, sta semplicemente lì, tutto il giorno a fianco dei suoi gradini allestiti a bancarella, con la sua alta figura e la sua grande dignità, che ci fanno immaginare si tratti di un principe africano, fuggito per chi sa quale motivo dal suo Paese e costretto ad affrontare una difficile vita in quello che forse immaginava fosse come il Paese dell'Eden. La mattina offre un servizio supplementare, naturalmente gratuito: la distribuzione dei giornaletti freee press, che dispone ordinatamente su un muretto lì vicino, a disposizione di chi voglia prenderli.

Non è finita qui. Oltre l'incrocio della circonvallazione interna c'è un altro suonatore di fisarmonica, questa volta di sicuro di origine balcanica, viste le sue musiche "tipo Bregovic". La sua posizione prevede molto più passaggio di persone rispetto a quello dell'hidalgo. Ma qui la confusione è molta: passano numerose automobili, il marciapiede è molto più stretto, anche la sua musica – forse condizionata dalla diversa situazione – è meno rilassata. Risultato: il piattino sembra faticare a riempirsi.

Ormai sono quasi arrivato in ufficio, giusto il tempo di passare davanti alla ragazza probabilmente rumena che vende giornali. E' vestita in modo semplice ma dignitoso e ha uno sguardo malinconico, quasi assente. Con una certa timidezza, chiede alle persone se vogliono comprare le sue riviste, che sono quelle che vediamo in giro spesso, che parlano di immigrazione e della dura condizione in cui vivono molti immigrati, qui in Italia. Forse è davvero troppo timida, non l'abbiamo mai vista riuscire a piazzarne una. Ma forse, ce lo auguriamo per lei, non l'abbiamo sorpresa al momento giusto.

E così, dopo avere percorso a piedi i miei soliti due chilometri (forse qualcosa meno) eccomi finalmente in ufficio. Accendo il computer e rispondo al telefono e mi dimentico della "strada della carità", mi dimentico che Milano, che mi piaccia o no, è anche quella cosa lì.


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