martedì 25 ottobre 2011

Biciclette rubate, un segnale...

Alcune foto delle bici pubblicate sul sito del Comune
Un segnale. Un piccolo-grande segnale. Il Comune di Milano in questi giorni ha pubblicato sul suo sito la foto di 35 biciclette rubate e recuperate dalla Polizia locale alla scorsa Fiera di Sinigaglia. Le immagini delle bici sono tutte lì, esposte una a fianco dell'altra, pronte per essere riconosciute dai legittimi proprietari.

Non sarà forse una rivoluzione, questa, ma per la nostra città è sicuramente una buona notizia.

Fa piacere, prima di tutto, sentire che le forze dell'ordine cittadine abbiano deciso di sequestrare biciclette rubate alla Fiera di Sinigaglia. Lo sanno tutti, da sempre, che lì – come del resto al mercato di San Donato – si acquista bene perché gli oggetti a due ruote sono di dubbia (anzi di certa...) provenienza. Mercati irregolari a cielo aperto, gestiti da piccoli e grandi criminali che operano in tutta tranquillità, con il tacito consenso di tutti, anche dei cittadini che si sentono in diritto di acquistare un oggetto rubato perché, in fondo, «l'hanno portato via anche a me...!».

Un furto che ormai non si denuncia neanche più

Sì, perché alzi la mano chi a Milano non ha avuto almeno una bicicletta rubata, nella vita. Tutti ci siamo capitati, non c'è via di scampo. Un furto talmente normale che, ormai, nemmeno viene più in mente di denunciarlo. «Tanto non la troverebbero mai», il primo pensiero. Chi l'ha fatto, poi, si è spesso scontrato con lo sguardo tra l'ironico e lo scocciato delle forze dell'ordine: ma davvero questo pensa che possiamo occuparci della sua bicicletta rubata, con tutto quello che abbiamo da fare?

Ecco, la cosa peggiore che possa capitare a un cittadino (inteso in senso ampio), credo sia quella di rassegnarsi a uno stato di fatto illegale che ha ormai assunto la connotazione della normalità. Quando non si fa nemmeno più denuncia per un reato subito, significa che qualcosa non va, nell'organizzazione e nella gestione della vita di comunità, per il verso giusto.

Così ci sentiamo meno abbandonati a noi stessi

Per questo il sequestro delle biciclette rubate e la seguente pubblicazione delle loro foto sul sito del Comune mi sembra rappresenti un importante punto di svolta. «Attenzione – è come se venisse detto – da questo momento il furto di biciclette torna a essere un reato, e se lo denuncerete troverete qualcuno (forze dell'ordine e amministrazione comunale) che cercherà di farvi recuperare ciò che vi è stato tolto».

Poi, lo sappiamo tutti, ritrovare la bicicletta che ci hanno rubato sarà comunque difficile. Ma così ci sentiamo un po' meno abbandonati a noi stessi, ci sembra quasi ci sia qualcuno che si preoccupa per noi.

E se non è un piccolo-grande segnale questo...

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martedì 18 ottobre 2011

Rivoluzione!

Milano, ore 4 e 30, in un'umida cantina di via Conservatorio.

«Allora, benvenuti, eccoci qui. Questo è il giorno in cui cambieremo le sorti di questo Paese, il giorno della rivoluzione... Cosa c'è, Paolo

«Silvio, ho qualche dubbio sulla natura della nostra azione. Tecnicamente si tratterebbe di golpe, più che di rivoluzione. La rivoluzione la fa il popolo, nasce dal basso, dagli operai, dai contadini, dai braccianti... Il golpe, invece, viene portato avanti di solito in modo violento da uno dei poteri dello Stato e quindi, ripeto, tecnicamente la nostra azione dovrebbe rientrare in questo secondo concetto...»

«Sì, Paolo, va bene, tecnicamente potrebbe anche essere così. Ma ne abbiamo già parlato: ti sembra che un presidente operaio, un presidente giardiniere, un presidente muratore, cuoco, marinaio, ecc. ecc. possa esprimere il suo disappunto verso il Paese con un golpe? Non se ne parla nemmeno, io voglio fare la rivoluzione, capito, voglio fare la rivoluzione! E tu, Fabrizio, che cosa vuoi adesso?»

«Vedi, Silvio, io ci penserei. In fondo la parola rivoluzione appartiene a un ordine di idee che non è il nostro. E' una parola di sinistra, comunista, non vorrei ci giocasse contro...».

«Macché giocare contro. Io, tra le tante cose che ho fatto in questi anni, ho anche portato un nuovo modo di parlare di politica. E questo nuovo modo prevede che non ci siano più parole di destra o di sinistra. Pensa che i giovani neri di Bologna cantano l'Avvelenata di Guccini a squarcia gola, sostituendo solo la parola "comunista" con quella "camerata". Loro sì che hanno capito. Ma, adesso, bando alle ciance, come sappiamo siamo qui per attaccare il Palazzo di Giustizia. E' tutto pronto? I mobili per le barricate li abbiamo?».

«Li porta Robertone con il camion, tra poco. E' andato a prenderli a Monza, negli uffici della Villa, dice che tanto lì non servono a niente. Poi, dice anche che sono mobili terroni, che non vede l'ora di disfarsene».

«Bene, bene, ma Umberto non è qui, come mai?»

«Purtroppo ha mandato un certificato medico, non potrà partecipare agli eventi. E' stato punto da una mosca tropicale e ha continui attacchi di sonno, continua a sbadigliare...».

«Vabbé, siamo comunque in molti. Ignazio ormai starà avanzando verso la città... mettetemi in contatto con lui... Pronto... Ignazio... dove sei...?».

«Sono qui alle porte di Milano, vicino all'Abbazia di Chiaravalle. Abbiamo un po' di problemi ad avanzare con i carrarmati, perché le strade sono un po' strette. Per che ora è fissato l'inizio del golpe?»

«Non è un golpe! E' una rivoluzione! Ma quante volte ve lo devo dire...».

«Ma Silvio, tecnicamente...».

«Non mi interessa niente di quello che è tecnicamente. Tu i carrarmati li lasci lì, non si è mai visto fare una rivoluzione con i carrarmati. Anzi, già che sei in campagna cerca di farti dare dai contadini dei forconi, dei rastrelli, delle falci, che fanno molto popolo in rivolta. Ma fai presto che sennò qui ritardiamo l'azione... Mamma mia, che fatica fare le rivoluzioni... Procediamo con i lavori. Robertino, hai procurato il vestito per Nicole? La voglio in prima fila, sulle barricate, che tiri su il morale a tutti i combattenti...».

«Ho trovato qualcosa, ma non ho capito se è quello che vuoi tu... da suora no, hai detto, vero...? Ne ho trovato uno che le lascia il petto in vista, mi sembra adatto alla situazione...».

«Bravo, bravo. Tu osserverai i movimenti dell'azione dal tuo grattacielo, il secondo più alto d'Italia».

«Ma non è vero, è il più alto. Quelli di Porta Garibaldi sono imbroglioni perché hanno messo un'antenna altissima per essere più alti di noi. Ma che cosa vuol dire? I più alti siamo noi, ecco, loro mica possono fare le riunioni seduti in cima all'antenna... non mi va questa cosa, protesto, protesto e ancora protesto... e anche tu, Silvio, dire che siamo i secondi, quando lo vedono tutti che noi siamo i più alti...».

«Ok, ok, Robertino, scherzavo... siete voi i più alti. Quindi vai sul tuo grattacielo, il più alto d'Italia, e osserva tutto con attenzione. Credo che questo sia il momento del poeta. Ogni grande evento ha un poeta che ne canti i momenti di maggiore significato. Sandro, dove sei? Prendi la lira e facci sentire le tue rime prima della battaglia...».

«Eccomi: (dlon... dlon...) "Essere stupendo, furbizia della volpe, io vado cantando, le gesta del suo golpe... (dlon dlon)».

«Saaaaandro! Anche tu con questa storia del golpe!!! E' una RIVOLUZIONE, ma cribbio, come ve lo devo dire!?! Su andiamo, che la gente per strada ci aspetta, cerchiamo di tenerla a freno fino all'ora fissata per l'attacco...».

«Ehm, Silvio, ci sarebbe un problemino... c'è stata un'iniziativa personale finita male. Si tratta di Daniela...».

«Cosa le è successo? E' stata fermata, arrestata, fatta a pezzi e mangiata dai giudici comunisti?».

«Non esattamente, aveva appena acceso la miccia di una bomba da lanciare verso il palazzo quando il calore del fuoco le ha fatto sciogliere la faccia... una vera disgrazia...».

«Peccato, ma non possiamo fermarci. Andiamo...».

«Ehm, c'è un altro problema. Sai che nei giorni scorsi lo smog qui a Milano era alle stelle. Così Pisapia, quel comunista, ha fissato la domenica senza macchine. E oggi è proprio domenica...».

«E allora Paolo, che cosa ce ne frega se è domenica?».

«Ci interessa sì, perché non è venuto nessuno, dicono che senza macchina non si muovono. Mi sa che questo golp..., pardon, questa rivoluzione dobbiamo rimandarla a un altro giorno...»



(E se non si farà la rivoluzione? Allora si farà la guerra civile!)


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venerdì 14 ottobre 2011

Consiglio regionale, com'è dura la vita/2

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Continua il racconto di Antonio, che ha lavorato per un’intera legislatura all’interno del Consiglio Regionale della Lombardia. Abbiamo interrotto le sue parole mentre parlava di Commissioni. Riprendiamo proprio da lì.

«Come accennavo, in Commissione mediamente partecipano dalle 6/7 persone a, quando va bene, 10/15. Niente in confronto al numero di componenti previsto, attorno alla trentina. Non ho mai visto l’aula piena, anzi, la maggior parte delle volte l’ho vista desolatamente vuota. Se in programma c’è solo una discussione e non è previsto nessun voto finale, poi, la normalità è che a sentire il relatore o il presidente della Commissione non ci sia quasi nessuno. Giusto qualcuno della minoranza mandato lì a monitorare la situazione. Diverso è quando si vota. In questo caso la riunione è divisa in due parti: una prima in cui si discute, con i numeri scarsi di presenze di cui sopra, e una seconda in cui si vota, nella quale per miracolo di materializzano improvvisamente tutti i componenti».

«Ho assistito a situazioni paradossali, quasi ridicole – lo sarebbero se non si trattasse, ripeto, di persone pagate oltre 10mila euro ogni mese – di consiglieri chiamati ripetutamente al telefono. “Dove sei? Bisogna votare, vieni di corsa!”. Alcune volte è capitato che venisse a mancare il numero legale, magari anche per scelta politica, quindi comunque per una scelta precisa, anche se criticabile. Ma altre volte lo sconforto del presidente di Commissione dimostrava tutta la negligenza e il menefreghismo dei consiglieri non presenti alla votazione, nonostante i ripetuti e disperati richiami… Naturalmente in questi casi l’unica conseguenza è quella di perdere una settimana di tempo, il documento in oggetto viene comunque votato la settimana seguente, dopo attenta precettazione, da parte dei gruppi politici, di tutti gli interessati».

«Un altro aspetto curioso, sempre a livello di Commissione, è quando in una riunione – generalmente se ne tiene una a settimana, che può durare  poche decine di minuti come un intero pomeriggio – viene invitato a parlare un assessore. Qui bisogna spiegare il meccanismo. Gli assessorati, dotati di tecnici e uffici legali, preparano le varie leggi regionali. Queste prima di approdare in aula, in Consiglio, devono passare attraverso le Commissioni, dove vengono presentate ai consiglieri di maggioranza e minoranza che ne fanno parte perché ne discutano. La discussione può essere protratta per numerose riunioni, tra rinvii, richieste di approfondimenti, presentazioni di richieste di modifiche (i cosiddetti “emendamenti”). Il frutto del lavoro delle Commissioni viene poi rispedito all’assessorato competente che può liberamente scegliere se accettare i “consigli” e fare sue le richieste di modifiche. Non c’è alcun vincolo, e infatti nella quasi totalità delle volte le richieste, soprattutto se provengono dalla minoranza, non vengono per niente prese in considerazione, rendendo assolutamente inutile il lavoro svolto in Commissione.

Ma non è tutto, per venire al punto. In alcune circostanze, per chiarire passaggi più complicati, può essere necessario convocare direttamente l’assessore, perché spieghi la motivazione di certe scelte. Bene, si vede chiaramente che per gli assessori questo passaggio è una vera e propria scocciatura. Non lo considerano un atto dovuto, un momento di confronto utile e costruttivo. La legge è questa, dice il loro atteggiamento, se la accettate bene, se no è lo stesso perché tanto abbiamo i voti per farla approvare. Non ho mai visto un assessore riconoscere la validità di una proposta contraria a quanto riportato nel testo redatto dai suoi tecnici. Ho visto invece spesso assessori annoiati dalla discussione (ritenuta probabilmente inutile, tutto tempo perso…), nervosi per le osservazioni provenienti dalle forze politiche contrarie, minacciosi, prepotenti e verbalmente arroganti nei confronti di chi chiedeva maggiori chiarimenti su punti non troppo chiari».

E anche questa seconda puntata del racconto di Antonio se n’è andata. Appuntamento alla prossima…

(se invece vuoi leggere la prima puntata, clicca qui)

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